La relazione biografica

La relazione biografica

La relazione biografica, un contesto di cura e di attenzione dove leggersi e poi forse… scriversi.

La scrittura biografica è una scrittura particolare che nasce essenzialmente nell’ambito di una relazione specifica. Una relazione che parte e si sviluppa nel reciproco ascoltarsi e narrarsi.  La relazione biografica trova poi nella parola scritta un suo primo esito condiviso.

Il testo viene partecipato, condiviso e rivisitato insieme ed entrambi gli attori della relazione sono presenti, un testo che può trasformarsi e prendere altre forme, oggetto di sperimentazioni e ricerche sempre molto affascinanti.

Essere narratori e ascoltatori nel medesimo contesto facilita il gioco delle parti.  Si sviluppa nella relazione biografica quell’attenzione empatica di cui tutti noi facciamo esperienza nelle ordinarie buone relazioni che attraversiamo giorno per giorno.

La comunicazione gioca i suoi tempi e i suoi ritmi che facilitano il racconto di sé e l’accoglienza delle parole dell’altro e rendono unica la relazione biografica.

Nei laboratori di scrittura biografica proposti tutti questi passaggi sono presenti e posti all’attenzione e alla cura di chi partecipa e si dedica alla restituzione biografica, rendendo così la partecipazione unica nel suo genere.

 

 

Per approfondire l’argomento è possibile leggere il testo dedicato alla restituzione biografica:

Ravecca M. (2013), Narrazioni d’opera. La restituzione biografica: una pratica di scrittura per la formazione e la documentazione educativa, Spaggiari Ed., Parma.

 

 




Laboratorio di Architettura letteraria

Laboratorio di Architettura letteraria alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Un affascinante Laboratorio di Architettura letteraria condotto dall’Architetto Matteo Pericoli si è svolto a Torino dal 16 al 19 novembre 2017 . Una proposta concentrata nel tempo e nello spazio, nell’ampio e luminoso atelier didattico della Fondazione.

Una bellissima esperienza formativa alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.

Il Laboratorio di Architettura letteraria ha coinvolto una ventina di partecipanti tra architetti, lettori, scrittori e appassionati di pratiche di contaminazione tra le varie arti. 

Ho avuto la fortuna di essere una di questi.

La sfida trasformare o ridisegnare un testo, scelto tra quattro proposti, generando una forma solida che divenisse edificio reale, con una sua fattibilità e una sua funzione. Quattro giorni intensi e affascinanti. Confronti serrati sulle forme e i loro significati, le parole che si materializzano e termini tecnici che tornano parole, riutilizzabili altrove.

Grazie ad Elisa, Elena e Giulia, preziose compagne di banco con le quali abbiamo trasformato il testo enigmatico e affascinante di Hemingway Colline come elefanti bianchi in un cannocchiale panoramico sospeso sullo strapiombo di un canyon e grazie alle quali un nuovo testo si è generato che ha accompagnato l’opera nella presentazione finale nel book shop della Fondazione Sandretto.

 

Grazie a Matteo, istrionico e suggestivo conduttore, dall’esperienza internazionale, visionaria e libera, a Giuseppe, attento e ironico tutor narrativo e ad Anna Maria, affabile padrona di casa che ci ha accompagnato nelle altalene creative.

 

Il lavoro è stato intenso, bello e significativo. Una particolare attenzione è stata posta alle tematiche dell’accessibilità alle pratiche laboratoriali per le persone non vedenti che hanno potuto partecipare al laboratorio.

 

Confrontarsi con altre competenze, professionalità ed esperienze è stato entusiasmante ed arricchente e, ciliegina sulla torta, il nostro modello, il mitico cannocchiale panoramico alla Hemingway, è ora esposto nella vetrina dello studio di architettura NB Architetti in via Saluzzo 28/c.

Senza parole e molto contenta.

Grazie a tutti

Per maggiori informazioni sull’esperienza proposta:

Matteo Pericoli

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

 

 




Documentare a scuola, ne parliamo in Università

Documentare a scuola, ne parliamo in Università 

Martedì 11 aprile 2017, nella Sala Allara del Rettorato dell’Università di Torino, è stata presentata a cura di Manuela Ravecca la relazione su La restituzione biografica, una buona pratica per documentare a scuola.

L’incontro è avvenuto nell’ambito del Seminario Scrittura e documentazione in ambito pedagogico organizzato dall’Università degli Studi di Torino, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

L’incontro sulla Documentazione era rivolto al personale tutor che affianca i futuri insegnanti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria nei tirocini obbligatori per il loro corso di studi. La sensibilizzazione alla documentazione è pratica indispensabile sia per la stesura della relazione di fine tirocinio sia per la futura pratica professionale.

Dopo un iniziale inquadramento metodologico sulla pratica delle restituzione biografica, sono stati presentati differenti esempi di documentazione biografica di buone pratiche educative, realizzati nei servizi rivolti all’infanzia dei Comuni di Torino, Roma e Cesena e in contesti educativi extrascolastici.

Particolare importanza è stata data alla relazione biografica la cui costruzione si cura durante il laboratorio di scrittura di documentazione. La relazione biografica diviene contesto fondamentale allo sviluppo di tutto il percorso successivo e consente di trasformare la documentazione e i suoi prodotti in doni di documentazione. Nel gruppo di lavoro attraverso un ludico scambio delle parti si recupera la dimensione dell’ascolto reciproco, della narrazione, della scrittura e infine della restituzione, riappropriandosi del piacere della gratuità del dono.

Per coloro che desiderassero approfondire i contenuti dell’incontro ed avvicinarsi alla pratica della restituzione biografica in ambito scolastico è possibile visionare la scheda del laboratorio di riferimento sui Doni di documentazione presente sul sito www.restituzionibiografiche.it

Per ulteriormente avvicinarsi e comprendere gli aspetti innovati della pratica della restituzione biografica è possibile leggere il testo dedicato nello specifico alla documentazione biografica:

Ravecca Manuela (2013), Narrazioni d’opera: una pratica di scrittura per la documentazione educativa, Spaggiari Editore, Parma.

 

 




Quando hai detto si

Quando hai detto si

Un laboratorio che mi piacerebbe fare

Quando hai detto di si. Accogliere il nuovo fidandosi di se stessi e degli altri, sulla sottile soglia dell’ignoto. Un si che scioglie le barriere, che supera le differenze.

Viviamo in un tempo strano, un tempo che ci sembra di dover reinventare giorno per giorno, ridefinendo piste e direzioni, medicando urti e attriti. Un mondo che ci ha accolto e che per primo ci ha detto si. Un mondo che spesso però non riusciamo a guardare con serenità e fiducia.

Contraddizioni in termini.

Una frizione che si riverbera nelle vite di ciascuno e le rende a volte lontanissime a volte vicinissime.

Un leggero disagio che si avverte anche nel momento in cui incredibilmente si dice si

Si dice si ad una proposta, un incontro, una tendenza, un pensiero, una definizione, uno sguardo altro su di noi o per noi, ma anche all’assaggio di un nuovo cibo, la visione di un film sconosciuto, il perdersi in una nuova città.

Un momento cruciale nella crescita di ciascuno e non solo del bambino che dice il suo primo si, ancora piccolo, forse per compiacere gli adulti, per rendersi felice o semplicemente per affermarsi nella sua volontà di essere.

L’eterno rimbalzo del gioco del definirsi: chi sono io e chi sei tu?

Tra l’essere parte di… e l’essere in piena essenza di sé.

Un disagio che, nel momento in cui si dice si, rivela non solo le nostre differenze ma anche le nostre somiglianze, la nostra voglia di condividere e di mettere in comunione. Un dire si che a volte si dimostra più difficile da pronunciare del più diffuso e temuto no.

Si accolgono nuove vie prima semplicemente ignorate, si afferra una mano tesa colma di sorprese.

Un nuovo viaggio e una nuova ricerca.

Un laboratorio che mi piacerebbe fare. Quando hai detto si.




Il Tai chi chuan a Torino: un esempio di mediazione culturale

Il Tai chi chuan a Torino: un esempio di mediazione culturale.

Corsi e ricorsi della storia e della memoria.
12 marzo 1996.
La mia Tesi di Laurea sul Tai chi chuan

La prima Tesi di ricerca accademica sulla pratica del Tai chi chuan in Italia.
Dalle pagine preparate allora per un Concorso, poi vinto, un breve estratto:

 

                                                                                                                    Possa tu vivere in tempi interessanti
                                                                                                                                                                 antico motto cinese

La società che abitiamo e che viviamo presenta, sul finire di questo secolo, elementi di grande interesse e curiosità per tutti coloro, e non solo, che si interessano all’uomo e al suo rapporto con il “mondo” e nel “mondo”. I processi di diversificazione, moltiplicazione, diffusione dei fenomeni e delle “culture” rendono più facilmente manifestabili, raccoglibili, studiabili i nuovi “percorsi” che coinvolgono il soggetto nei suoi processi di socializzazione primaria e secondaria, di identificazione e di individuazione, di costruzione e strutturazione permanente della propria identità.

Il tentativo di porre attenzione alle nuove dinamiche culturali, frutto di un multiculturalismo sempre più variegato e multiforme, unito ad un affetto profondo per la Cina e il suo universo culturale, mi ha portato a rivolgere la mia ricerca al Tai chi chuan.

Il Tai chi chuan è una disciplina di origine cinese che abbina in sè movimenti lenti ed armoniosi tramandatisi nel tempo dall’antichità ad alcuni principi della filosofia taoista e della medicina cinese. Alcuni lo considerano di meditazione in movimento che collega il microcosmo individuale al macrocosmo universale attraverso l’esecuzione di movimenti morbidi di straordinaria bellezza formale. C’è qualcosa di indefinibile nella pratica di questa disciplina che sfugge a qualsiasi tentativo di descrizione.

La mediazione culturale, secondo questa ricerca, è un processo intrasoggettivo che si attiva quando l’attore sociale entra in contatto con un universo simbolico e culturale diverso dal proprio. La mediazione diventa espressione della permeabilità delle nostre società ed indica, se affrontata con modestia culturale, la interpenetrazione possibile dei differenti universi culturali dell’uomo a fronte di una cultura universale dell’uomo.

La specificità della ricerca ha reso necessario l’utilizzo di strumenti di indagine complessi (questionari, interviste semi-strutturate, schede di rilevazione dati) idonei alla raccolta dei dati necessari alla costituzione di una prima banca dati inedita sul Tai chi chuan.

Dai risultati della ricerca risulta piuttosto chiaramente che il processo di mediazione culturale in atto non riguarda solamente ed esclusivamente la cultura cinese e la cultura autoctona, di matrice occidentale. Sembra emergere la presenza di un terzo polo culturale che assume sempre più valore ed importanza. Un universo culturale che trascende le culture particolari e che si colloca in una dimensione “altra”. 

Riemerge forte la centralità dell’uomo e della sua ricchezza particolare, singolare, unica. Rinasce un nuovo umanesimo. L’Umanesimo di fine millennio.

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