Scrivere. Luoghi comuni e ricordi di scuola
Molti luoghi comuni e ricordi accompagnano la decisione di avviarsi alla scrittura.
Il timore della pagina bianca, spazio vuoto che tuttavia si sa, prima o poi, di dover colmare. Il dovere di scrivere. Il sollievo quando finalmente si trova l’incipit, le prime magiche parole che, sbloccando l’ispirazione, danno il via al testo. Dopo l’incipit tutto sembra più semplice, il più ormai è fatto. La stessa difficoltà e spesso lo stesso imbarazzo sembrano accompagnare lo scrivere, sia che lo si faccia per se stessi, sia che si utilizzi la scrittura come dispositivo professionale ed educativo. Ma non è solo la pagina bianca che spaventa.
Tutti si ricordano certamente della celebre frase latina verba volant scripta manent che da sempre sembra consigliare di lasciare il proprio pensiero e le proprie intenzioni scritte. Questo antico proverbio, che trae origine da un discorso di Caio Tito al Senato romano, insinua la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono sempre essere considerati documenti incontrovertibili. È curioso notare che questa è l’interpretazione che se ne dà oggi, in origine infatti verba volant scripta manent aveva una valenza del tutto diversa, quasi opposta. In un’epoca in cui i più erano analfabeti, stava a indicare che le parole viaggiano, volano di bocca in bocca, e permettono che il loro messaggio continui a circolare, mentre gli scritti restano, fissi e immobili, a impolverarsi senza diffondere il loro contenuto. Oggi la scrittura è considerata strumento che non lascia troppo spazio al dubbio interpretativo; mette, come si dice normalmente, nero su bianco, definisce pensieri e contenuti e, così facendo, espone.
La scrittura espone, non è neutra. Scrivere richiede un impegno… il ricorso alla scrittura impone prima di tutto un osare, non lasciare in silenzio qualcosa. Che dire poi dell’esperienza scolastica di cui molti sono ancora testimoni, dove sullo scritto spesso troppo espressivo (chi almeno in adolescenza non si è misurato con la poesia e la scrittura evocativa?) incombeva la penna rossa delle correzioni e il contenuto espressivo del lavoro svolto finiva in secondo piano, inesorabilmente, rispetto alla valutazione delle correttezza sintattica del testo scritto.
Un ricordo forse non più realtà della scuola di oggi, ma che condiziona ancora molti di coloro che frequentano i laboratori di scrittura.